Visitando la mostra di Franco Iacono, in questi giorni a palazzo Spadaro, a Scicli, non si può fare a meno di rimanere stupiti per l’eclettica vena messa in atto dall’artista: oli, pastelli e addirittura sculture rappresentano un sentire certamente fuori dalla norma, se pensiamo, tra l’altro, che ogni pezzo esposto raccoglie in sé una storia, un percorso, un’elaborazione di sicuro valore artistico. A cominciare dalle grandi tele dominate da un “effetto vento” straordinariamente riprodotto, in cui figure umane (soprattutto femminili) e oggetti subiscono un sommovimento corporeo, e forse anche metafisico, che ne rende sfuggente l’approccio visivo.
L’utilizzo abbondante e vario che Iacono fa dei colori contribuisce a ricreare questo particolare sfrangiamento della materia, che si frammenta per non ricostruirsi mai più, se non probabilmente nella mente dell’artista stesso, in una connotazione della forma d’arte. In modo non casuale, questo impetuoso vento coglie e disorienta soprattutto donne, e molto spesso donne “diverse”: madri in fuga, donne eritree, indiane, donne sotto la pioggia, tutte piegate e mutate da un movimento che ne nasconde o altera i lineamenti, finendo per rivestirle di un alone di mistero inconoscibile. Un esempio di grande forza emotiva potrebbe essere il dipinto Donne e Madonne (riprodotto qui a lato, sulla destra),
dove la potenza incontrollabile del vento porta via con sé colori, lineamenti, la fisicità delle figure, perfino il suono. Proprio questo simbolismo latente accomuna, in fondo, tutte le opere di Iacono, il quale non finisce di sperimentare, nei contenuti e nelle forme del proprio monologo artistico, cogliendo tutto ciò che la realtà, anzi l’attualità, gli propone: il Kosovo, l’emigrazione, la maternità, la religione, l’11 settembre, la tragedia del sottomarino russo Kursk. E varie, in relazione all’oggetto ritratto e alla sensazione che da esso scaturisce, sono le forme scelte per la rappresentazione artistica: l’olio su tavola, i pastelli, la tecnica mista, la scultura, nei quali Iacono riesce a mantenersi coerente con le istanze della propria poetica. Sorprendenti, in questo senso, i pastelli, soprattutto quelli appartenenti alla serie “Silenzi”, in cui l’aspetto metafisico e simbolico viene accentuato da una trasposizione formale di formidabile impatto: pensiamo al pastello L’infinito, in cui un concetto, così sfuggevole alla finitezza dell’intelletto umano viene formalizzato da uno sfumato talmente delicato da sfuggire, esso stesso come l’infinito, a uno sguardo unitario da parte dell’osservatore. Qui Iacono trasferisce forse la parte migliore della propria sensibilità, giocando magistralmente con lo sfumato e ricreando un’atmosfera quasi magica di perdizione e di languido smarrimento dell’anima, senza farsi tuttavia intaccare minimamente da eccessi o da tentazioni didascaliche. L’artista cattura un momento della propria tensione emotiva, forse cagionata da eventi reali, concreti, attuali, ma immediatamente riformulati in pura sensazione, impressione diremmo quasi, così da ottenere – come risultato finale – un segno di come il mondo si trasforma sotto uno sguardo diverso. Il desiderio opprimente di superare l’insufficienza della bidimensionalità della pittura ha spinto, poi, Iacono, a vedere trasferito in forme più complesse questo carico di sensibilità: ed ecco nascere, dalla materia bronzea, figure diverse – uomini, donne, cavalli – anch’esse liberate da una fissità inevitabile e riprodotte nell’atto stesso della metamorfosi spaziale e temporale. Cavalli al vento, donne in corsa, un funambolo in piena esibizione (di quest’opera, molto suggestiva, si può apprezzare anche lo studio su tela) ritrovano, anche nella materia solida e tridimensionale, una visibilità nascosta, sottolineata dalle parti non finite, dall’ossidazione naturale del materiale, dalla frammentarietà voluta e dalle pieghe di vesti, capelli e criniere.
Lo sperimentalismo di Iacono, seppur talvolta ci lasci perplessi nella scelta dell’oggetto ritratto (una magnifica figura femminile è stata forse troppo contaminata dalla presenza di un telefono cellulare, che, quantunque simbolo di una civiltà decadente, ha in parte annullato quel fascino sensuale della donna che emanava prepotente dalle sue forme), ha comunque ampie possibilità di dare vita ad altri apici artistici, oltre a quelli già visibili in questa esposizione personale.